America dreaming a Rattvik

Il blues si alzò all’improvviso nell’aria ferma delle sei e mezza del pomeriggio. Due gazze spaventate volarono verso il bosco che blindava il silenzio in un’ombra densa, verde cupo. Il sole brillava sulle carrozzerie di vecchie Pontillac e Oldsmobile parcheggiate presso il lago. Plymouth, Cadillac, Chevrolet, Corvette attiravano gli sguardi con le loro forme esagerate, le pinne da aereoplano, le cromature da yacht, le curve da pin up.

Per contrasto le linee scattanti e agili delle piccole Mustang suscitavano nella folla mormorii di ammirazione. I maniaci di cilindri e valvole si incantavano davanti ai grandi pick up dai motori elaborati, lasciati esposti, come opere d’arte, con i tubi di scappamento lucidi e roboanti, simili a canne d’organo.

Grossi dadi appesi allo specchietto retrovisore penzolavano su cruscotti tappezzati di pelosissime moquette. Sedili di pelle consumata, tinte vintage da gelato e caramella, sfumature color nostalgia. Tennessee anni 50? No. Svezia. Contea di Dalarna. Cittadina di Rättvik.

Ogni estate da queste parti scoppia una febbre contagiosa. I fortunati proprietari tirano a lucido le vecchie principesse, si calcano in testa un cappello americano a falda larga, e con tutta la famiglia che sembra uscita da un film di James Dean, partono verso le località di raduno. Fu una vera sorpresa ritrovarci nel bel mezzo della “Classic car week” di Rättvik, dopo giorni di assoluta quiete scandinava.

Rättvik è nel cuore del Dalarna e la regione del Dalarna è il cuore della Svezia, enclave di folklore e tradizioni. Dalarna significa “le valli”, le valli smeraldine ammantate di boschi e incastonate di grandi e piccoli laghi, incontrate nel nostro girovagare. Musica, canti, danze, pittura naif, costumi popolari e un dialetto antico sono il patrimonio autentico degli abitanti di questi luoghi. Cultura contadina ispirata dalla bellezza del paesaggio.

Nei giorni di festa avevamo incontrato paesi semideserti. Sembrava che, in nome di quel viscerale amore che gli svedesi hanno per la natura, tutti gli abitanti andassero a rifugiarsi, appena possibile, nei fäb, casette di legno sperdute tra i boschi, un tempo usate dai pastori. Ora invece festa, folla, rumore. Strana, spiazzante sfaccettatura del carattere nordico.

Sul piccolo palco all’aperto la musica sarebbe andata avanti fino a notte fonda, e i prati fiorivano di plaid e tavolini da pic nic. Lungo la strada, bancarelle specializzate potevano trasformare qualsiasi altero svedese in un borchiato, frangiato, di pelle nerovestito viking byker, pronto a cavalcare la sua Harley Davidson nella barbarica avanguardia nero cromo della carovana.

Ora il lago Siljan era un’immensa pozza di luce e di silenzio. Immobile aspettava la fine di tutto quel baccano. In controluce era argento sbalzato. Sulle sponde, casette sparse nel verde, come fiori nati da semi gettati a caso sul prato. In fondo al lungo pontile di legno i rumori della festa arrivavano smorzati. Persone, cani e bambini si spingevano lontano sul basso fondale e, nel riflesso abbagliante, erano sagome nere che camminavano sull’acqua.

Non appena il corteo di auto si mise in moto, il movimento confuso della gente si aggrumò in due ali ferme lungo le strade. La lunga sera prometteva luce fino a tardi. Quella luce speciale dell’estate nordica in cui tutte le cose sembrano sospese nell’aria. Ma questa volta non avremmo passeggiato tra casette silenziose dietro siepi di rose, con le finestre rischiarate da fiochi lumi dorati.

La severa compostezza del paese era incrinata da un guizzo di follia e noi dimenticammo il richiamo di prati e foreste e restammo volentieri a respirare fumi di scarico in mezzo a quel rumoroso carosello. In fondo avevamo tutto il Dalarna per disintossicarci.

La Kyrka, la chiesa risalente al XIII sec., se ne stava appartata sulla sponda del Siljan come una bianca colomba, o meglio, come una sposa inginocchiata, perché è così che qui la chiamano. All’interno, volte stellari, banchi di legno consumato e penombra. Il tappeto aveva i colori dei fiori del prato e il manto della Madonna era azzurro pallido come il cielo del pomeriggio sopra le colline.

Presso l’edificio, piccole case di legno accoglievano un tempo i fedeli che, in occasione delle funzioni religiose, arrivavano dalle fattorie isolate e dai piccoli villaggi della zona, troppo distanti per un viaggio di andata e ritorno in un giorno solo. Molti attraversavano il lago sullekyrkbåtar, le “barche da chiesa” di origine vichinga che si possono ammirare ancora oggi nelle regate rievocative.

Ora invece era il vicino campeggio a dare ricovero ai pellegrini della festa pagana, anch’essi convenuti qui da posti lontani. Sotto gli alti abeti era tutto un accampamento di tende e roulotte, bambini biondi che giocavano e grigliate sfrigolanti. Domani tutta la carovana delle old cars sarebbe sciamata via, seguendo strade tra i boschi, verso altre feste, altre bevute, altri barbecue, altra musica.

Rättvik sarebbe tornato a specchiarsi, perfetto, sul suo lago. Neanche una lattina schiacciata, o un qualsiasi rifiuto avrebbe rivelato il passaggio di quella festa mobile. Solo una volpe si affacciò sul limite della radura, fiutò l’aria, sentì l’odore dolce del lago e quello aspro dell’erba falciata, poi captò un rimasuglio di benzina, gas e olio. Abbassò la coda e, rapida come era venuta, tornò nel bosco.

 

 

clicca sull'immagine
clicca sull'immagine