L'altro volto di El Rocio

A El Rocio i passi non fanno rumore, ma lasciano il segno. Le strade sono fatte di sabbia e sulla sabbia il paese galleggia, sospeso come un miraggio.

Appare all'improvviso, dopo aver percorso chilometri  deserti  e favolosi nell'infinito orizzontale del Parco di Coto Doñana.  Distese di arbusti, marismas, morbide dune. Pinete fitte di chiome tonde e compatte, come ombre di nuvole, o forse nuvole verdi spiaggiate da tempi immemorabili. Il punto interrogativo di una curva, ed ecco davanti agli occhi l'immacolata visione del suo santuario e il profilo basso delle case. Nello specchio immobile di un grande stagno ogni cosa raddoppia il suo splendore e si capovolge dentro un cielo rovesciato. A capofitto nel blu.


Gennaio andaluso, freddo e terso. Luce di vetro chiaro. El Rocio appare come in una bolla di cristallo. Fragile e più irreale di un paese immaginato. Lontana la vampa bruciante dell'estate, il vento ardente, l'arsura della terra, i pomeriggi interminabili, l'erba secca come paglia. Ora cavalli alteri pascolano sul prato umido e verde davanti a noi. Steccato di legno. Ci affacciamo come al balcone di un sogno. Fine dell'asfalto e della sua durezza senza anima, nè ricordo.

 

Il pavimento del mondo qui è fatto di sabbia. Sabbia di clessidra, che conosce il tempo e quindi conserva la memoria. Sia pure per poco. Memoria di zoccoli di cavalli, passi di viandanti, orme di gatti, di cani, di gabbiani. Rare tracce di fuoristrada, come greche dentellate, disegnano strane chiusure lampo che uniscono due opposti lembi di strada. Su ogni lato, piccole case disabitate,  infilate una dietro l'altra come avemarie di un rosario, si alternano ai glorialpadre delle Hermandades, le Confraternite.  Croci e campane a sigillo di sacralità, e allo stesso tempo, un aspetto ingenuamente festoso ed esuberante, in un tripudio di archetti, volute e maioliche colorate.


Misterioso paese perduto nel tempo, a metà tra un'idea di Messico addormentato sotto un cielo di cotone sfilacciato e uno scenario da film western, con i cavalli legati alla staccionata davanti a case di cartapesta. Atmosfera di eterna attesa in un mezzogiorno di fuoco dilatato.  

 

Sgargianti abiti da flamenco appesi davanti a una bottega. Quando verrà il tempo della Romeria, nei frementi giorni della Pentecoste, un movimento di danza agiterà i colori, i pois e le trine in un'unica fiamma guizzante. Sudore e polvere, i canti e l'ebbrezza, l'odore dei cavalli, i falò sotto la luna, l'attesa dell'alba. Tanta strada sotto le ruote dei carri sul Camino di El Rocio, per arrivare alla sua chiesa bianca, la Ermita, faro di luce per le nomadi rotte gitane e per i pellegrini di ogni secolo. Ora solo il vento accarezza quei vestiti da bambola. Cigola un'imposta. Nitriti in lontananza.


Siamo sull'altra faccia della luna di El Rocio. Lontano dai suoi giorni di Festa,  in un inverno che veste di colori insoliti la caliente Andalusia. Nadir opposto allo zenith.

El Rocio è, in questo momento, un paese di solitudine e silenzio in attesa della primavera, dell'euforia e della passione. Non per questo è meno vero. Ora dorme, nell'attesa di un' unica alba, e sogna su un letto di sabbia e brina, nell'ultima terra del Guadalquivir.

 

La chiesa ha un abbraccio concavo di conchiglia. Timpano costellato di nidi di rondine. Cielo di smalto azzurro graffiato da voli e garriti. All'interno,  penombra bagnata di celeste. Oro che si addensa sull'altare in grumi barocchi, come spuma sospinta da onde invisibili. E dentro quella gigantesca torta di panna dorata, lo sguardo assente e perduto di Lei, che del Rocio è il cuore e l'essenza: Nostra Señora, La Blanca Paloma, la Virgen de las Rocinas, la Vergine della rugiada. Virgen, come dicono qui, con quella g secca che scalpella un bordo di affilata e inaspettata durezza sulla dolcezza del nome. Pronuncia aspra che forgia

un' aureola di metallo splendente e tagliente come la spada di Excalibur.


Avviluppata dentro le sue rigide vesti preziose, arcana e arcaica come un idolo pagano, attende il gran momento, quando i confratelli di Almonte, la più antica delle Hermandades,  scavalcheranno e abbatteranno la cancellata dell'altare, per portarla via come un trofeo, con violento atto di forza. In una ressa soffocante verrà trasportata sul suo baldacchino d'oro per le vie di sabbia di El Rocio. Ondeggiante barchetta in un mare di un milione di persone.

 

E saranno zuffe, spinte e risse. E saranno rose calpestate e zoccoli nervosi. E sarà polvere, caos e ossessione di tamburi, battere di mani, petardi e campane. Poi sarà tempo di vino e di banchetti, di flamenco, fandango e sevillanas, in un delirio di pifferi e chitarre, nell'euforia senza freni che allenta la tensione quando il rito è ormai compiuto.


Alla fine gioia e stanchezza si mescoleranno già alla nostalgia. Le settimane e i mesi dovranno fare il loro lento lavoro sui calendari, strappando uno a uno i foglietti dei giorni, per un intero anno, fino alla prossima Pentecoste.


Il vento soffierà sulle strade di sabbia devastate e crivellate da milioni di impronte e cancellerà ogni segno, per restituirle, come una lavagna pulita, alle piccole storie di transiti e passaggi solitari. Come in questo immobile  giorno di gennaio dalla luce di diamante.


Qualche fedele esce dalla basilica. Occhi lucidi e un mazzo di candele nelle mani, da gettare direttamente nel fuoco dei grandi bracieri della cappella esterna.  Piccola fabbrica operosa e rumorosa di aspiratori ronzanti, che tramuta cera in fumo e preghiere. Fuori, lo specchio d'acqua è color perla e madreperla. Una seta cinese su cui danzano, nere in controluce, le esili sagome di aironi e fenicotteri. 

 

Vincente ha una ruga sul viso per ogni Romeria che ha vissuto. Ci è seduto di fronte, ma non guarda il lago. Ha gli occhi socchiusi e intona sottovoce un canto flamenco fatto di buio e di luce. Grido che viene da lontano, ribelle, disperato e rassegnato. Voce antica che supera terre deserte e distanze immense. E' ruvido come la polvere dentro il vento caldo. Impastato di sabbia e di ricordi. Lacerante come il dolore. Struggente come la passione. Ritmato come il battito del cuore e sinuoso come la linea delle dune del Coto Doñana. 

Sacro e pagano, come El Rocio.

 

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