Castelluccio, il giardino delle Sibille

e la fabbrica delle nuvole

 

Una volta era un lago. Nell’era glaciale. Ora è una morbida conca a circa 1.300 m di altezza, nello scrigno del Parco dei Monti Sibillini. Una collana di alture sinuose la cinge e, a est, la mole  imponente del monte Vettore la sigilla. Così appaiono i Piani di Castelluccio, quando, venendo da Ascoli Piceno, si superano gli ultimi tornanti di Forca di Presta e si inizia a scendere verso il maestoso bacino carsico.

 

La fittissima Macchia Cavaliera tappezza il ripido pendio, come una pelliccia di animale. Isola di bosco in un oceano d’erba.  Il  monte Vettore sovrasta la scena. E’ un padre fiero. È una madre che abbraccia. E’ la fabbrica delle nuvole. Davanti e ovunque, la distesa di una prateria senza confini. Pian Grande, Pian Piccolo e Pian Perduto. Pianura d’alta quota. Mare d’erba. Fondo di lago. Una piccola Mongolia verde nel cuore dei Sibillini azzurri.

 

 Identica meraviglia giungendo da Norcia (PG). La strada, dopo essersi arrampicata su per il monte Ventosola, supera una piccola sella. Scopre all’improvviso la gloria splendente del Pian Grande e delle colline pelate, maculate da chiazze tonde e compatte di alberi scuri. Anche chi è solo di passaggio, o chi , come noi, è di casa, non può fare a meno di fermarsi su questo belvedere. Respirare il vento. Affacciarsi sull’infinito.

 

Subito sotto, profonde incisioni raccolgono le acque nell’Inghiottitoio. Cicatrici tribali sulla pelle verde della terra. In fondo, arroccato sul suo colle perfetto, il paesino di Castelluccio, unico insediamento umano in questa landa isolata. Simbolo della solitudine dell’uomo nel mistero della natura.

 

Dall’alto contempla lo spettacolo struggente della sua piana, i campi delle sue famose lenticchie e le greggi  perse nella foschia della distanza. Nuvole candide si specchiano negli occhi sognanti di qualche asinello malinconico e il suono delle campane dell’antica chiesa si spande nell’aria limpida, come cerchi  da un sasso gettato nell’acqua.

 

Un tempo, nei giorni di tempesta e di nebbia, le campane del paese suonavano per guidare coloro che si smarrivano giù nell’altopiano. Oggi un tranquillo nastro di asfalto attraversa il Pian Grande con lo slancio rettilineo di una strada americana. Un bosco a forma di Italia sul fianco di una collina ci ricorda che non siamo dentro un incantesimo  e docili cavallini dalla criniera bionda possono essere affittati al piccolo ranch per cavalcare lungo le tante piste che attraversano i Piani.

 

Un tempo, pastori e contadini, santi ed eretici, anacoreti e pellegrini, zingari e negromanti percorrevano queste terre. Chi per faticare, chi per raggiungere luoghi di preghiera, chi per salire alla grotta della Sibilla, come narra la storia del Guerrin Meschino. Miti e leggende di una terra mistica e magica. Dolce e aspra. Anello di congiunzione con il cielo.

 

Oggi, nei giorni di festa, oltre a pastori slavi o albanesi che sorvegliano le pecore, si incontrano fotografi, escursionisti, motociclisti, ciclisti e appassionati di deltaplano provenienti da ogni parte d’Europa.

 

Arrivare qui a inizio giugno, in piena fioritura,  è come entrare in un quadro di Monet. Puoi salire lungo i bordi della conca e avere una visione d’insieme, fatta di distese di colori puri e intensi. Tappeti di fiori tessuti dalle Sibille. Compatti riquadri variopinti. Fantastica coperta patchwork adagiata sulla piana. Fasce, striature, superfici colorate, intersecate e fuse, sfumate all’infinito. La tela impressionista vista da lontano.

 

Poi puoi ridiscendere e camminare lungo uno di quei campi, per sorprenderti di come quell’immagine, così piena e perfetta alla distanza, sia costituita in realtà dai minuscoli particolari di ogni singolo fiore. Pennellate sciolte e tocchi di colore. La tela impressionista vista da vicino.

 

E il gioco si ripete. Dall’alto la grande piana sembra uniforme e cinta da un unico orizzonte. Ma se ti inoltri in uno dei tanti tratturi che la attraversano scoprirai nuovi punti di vista, avvallamenti e declivi e diversi confini che si disegnano nel cielo. Un continuo entrare e uscire da una dimensione all’altra, in un gioco magico di forme, luci e colori.

 

La nota elettrica dei grilli accompagna i tuoi passi. E’ ovunque nell’aria. Colonna sonora del silenzio. Scopri minuscoli fiori azzurri e grandi gigli arancione, lussureggianti. Nella luce offuscata del mezzogiorno la piana si assopisce. Sogna di quando era un lago e il sogno si materializza in una distesa di campi di fiordalisi blu profondo. Sogna di quando il tramonto tingeva di rosso le sue acque e il sogno prende vita nei campi fiammanti di papaveri.

 

Domani saliremo fino alla cima del monte Vettore (2.476 m.). Troveremo fatica, rocce, dirupi, forse qualche chiazza di neve. Raggiungeremo il lago di Pilato. Piccolo bacino glaciale, fonte di antiche leggende. Lago delle Sibille, ritrovo di streghe, ingesso agli Inferi,

liquida tomba delle spoglie di Ponzio Pilato.

 

 Cercheremo di avvistare nelle sue acque il chirocefalo del Marchesoni, minuscolo crostaceo endemico, che da secoli continua a nuotare beatamente a pancia in su, indifferente ad ogni fosca storia che ancora fa rabbrividire la superficie del lago.

 

Ma oggi no. Vogliamo restare ancora qui e spaziare in  questa prateria. Con passi e pensieri leggeri. Liberi, dentro questa piccola coppa d’infinito.

 

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